Note tecnico−scientifiche

 

1) Non deve essere una specie aliena.

Il rilascio di specie aliene (alloctone, non native) pone due ordini di problemi: il primo ecologico, il secondo etico. Certamente poche farfalle esotiche in libertà non costituiscono un problema. Se però tale pratica diventasse diffusa, i rischi per l’ambiente sarebbero imprevedibili. Infatti le specie aliene allevate nelle fattorie delle farfalle in tutto il mondo, presentano alti livelli di parassitosi essendo vettori di molti virus, funghi e batteri potenzialmente letali per le nostre popolazioni locali. Inoltre se una specie aliena si acclimatasse alle nostre regioni, potrebbe portare all’estinzione di una o più delle popolazioni locali a causa della competizione per la stessa nicchia ecologica. Ciò è già successo per esempio con la coccinella cinese (Harmonia axiridiens, rilasciata in modo massivo per la lotta biologica), che sta facendo scomparire le nostre coccinelle locali, fenomeno ampiamente documentato in letteratura scientifica. Questo tipo di problemi non si pongono se la specie è locale, migratrice, abbondante e diffusa sul territorio nel quale avvengono i rilasci. Il problema etico sta nel fatto che individui provenienti da località esotiche, probabilmente periranno in poco tempo trovandosi in un ambiente al quale non sono adattate a vivere. Inoltre in base a quanto disposto dal Codice Penale, art. 727, primo capoverso, la liberazione di specie animali alloctone sul territorio nazionale configura il reato di “Abbandono di animali”.

 

2) Deve essere abbondante e diffusa nella regione dove avvengono i rilasci

Questo punto sembra paradossale, ma è molto importante. Lo scopo della nostra attività non è reintrodurre specie estinte o rinforzare popolazioni locali deboli. Lo scopo della nostra attività vuole essere primariamente educativo oltre che estetico. La reintroduzione di specie localmente estinte o che sono rare, se fatta senza criterio, ed un approfondito studio scientifico, potrebbe peggiorare la situazione delle popolazioni interessate invece di migliorarla. Al contrario una popolazione abbondante e ben diffusa invece trarrà beneficio dal rilascio di individui sani e geneticamente compatibili.

 

3) Deve essere una specie ad alto potenziale di dispersione ma preferenzialmente non deve presentare specifiche rotte di migrazione.

Una forte dispersione degli individui garantisce omogeneità genetica, omogeneità dei parassiti e degli adattamenti ambientali in tutto l’areale di distribuzione della specie. Questo fa sì che le popolazioni di una certa specie non siano troppo differenziate tra di loro. Se lo fossero ricadremmo nel caso (sebbene molto meno grave) dell’introduzione di specie aliene, in questo caso di individui provenienti da popolazioni aliene ma della stessa specie. Preferibilmente sarebbero da evitare rilasci di specie che presentano popolazioni con forte differenziamento delle rotte migratorie. Il rischio in questo caso è che le rotte si mescolino rompendo equilibri stabilitisi in migliaia di anni (anche se questo fenomeno non è mai stato dimostrato nei lepidotteri).

 

4) La struttura genetica di popolazione deve essere più o meno conosciuta e non deve presentare particolari differenze tra una popolazione ed un’altra

Date tutte le precauzioni sopra elencate, c’è da dire che oggi la scienza ci permette di verificare il reale grado di differenziazione tra popolazioni della stessa specie, grazie all’utilizzo di specifici marcatori genetici. Grazie all’analisi delle sequenze di DNA è possibile stabilire se esista una differenziazione tra popolazioni e perfino quantificare i livelli di migrazione da una popolazione ad un’altra (flusso genico). Questo è sempre più possibile anche grazie allo sviluppo di progetti come il DNA Barcoding, che mettono a disposizione in appositi database, le sequenze mitocondriali che possono essere utilizzate per rispondere alle domande sopra citate. Diciamo quindi che date tutte le precauzioni sopra elencate, l’analisi delle sequenze geniche, ne costituisce la prova del nove. Una specie utilizzata per rilasci, dovrebbe quindi essere accompagnata da uno studio sulla struttura genetica di popolazione, anche per individuare eventualmente le aree geografiche dove non sarà possibile liberare individui di una certa popolazione.

 

5) Devono provenire da un allevamento a ciclo chiuso, e non da farfalle o bruchi prelevati in natura.

Le farfalle devono essere allevate e non sottratte alle popolazioni selvatiche. In più sarebbe impossibile controllare i patogeni se l’allevamento attingesse sempre dall’esterno. Tuttavia per evitare problemi di adattamento alla cattività e di inbreeding depression, un certo numero di riproduttori selvatici vengono reintrodotti nelle colonie di allevamento con una certa frequenza, rispettando la regola genetica del “one effective migrant per generation”. In questo modo evitiamo la possibilità che si verifichino adattamenti locali alla cattività che potrebbero indebolire le farfalle rispetto all’ambiente esterno nel quale verranno liberate.

 

6) Devono essere certificate “pathogen free”, quantomeno per i parassiti più comuni (Funghi microsporidi, baculovirus, batteri)

Come tutti gli organismi viventi, anche le farfalle si ammalano. In natura circa 1 bruco su 100 sopravvive fino allo stadio di farfalla principalmente a causa delle malattie (attenzione, questa è una condizione naturale!). La diagnosi delle malattie delle farfalle richiede grandi competenze scientifiche e uno studio approfondito della singola specie. Le farfalle che vengono rilasciate nell’ambiente devono essere esenti dai principali patogeni che potrebbero impattare su una eventuale popolazione locale. Inoltre un allevamento anche solo con qualche patogeno in circolazione, non sarebbe sostenibile per più di una-due generazioni. Tutte le nostre farfalle vengono controllate con tecniche di microscopia non invasive (nessun male viene fatto alle farfalle) per generare colonie sane, e vengono controllate a campione prima dell’immissione in natura.

0
    Carrello
    Il tuo Carrello è vuotoTorna allo SHOP